Giancarlo Rocchietti, presidente del Club degli Investitori, racconta come opera la più importante community di angel investor in imprenditori italiani
«Il Club è nato 15 anni fa assieme a un gruppo di amici e oggi siamo diventati 350». Giancarlo Rocchietti è imprenditore, business angel, fondatore e presidente del Club degli Investitori. Dopo aver creato Euphon, averla quotata in borsa e averla ceduta a un fondo di private equity, decide di dedicarsi all’attività di business angel, dando vita al Club degli Investitori.
Come è nata l’idea?
«Dopo un viaggio negli Stati Uniti, dove la realtà degli angel investor era già consolidata, abbiamo pensato di provare a replicare il modello in Italia. Oggi siamo diventati la più importante community di angel investor in imprenditori italiani nel mondo».
In questi 15 anni, ci sono stati cambiamenti nella vostra attività?
«Soprattutto negli ultimi cinque anni l’attività del business angel è cambiata significativamente. Prima del Covid si tendeva a investire soprattutto su persone e start up del proprio territorio perché il supporto non sono solo i soldi, ma anche supporto concreto e gli incontri fisici sono importanti.
Oggi la tecnologia ci permette di fare angel investor anche a distanza: ci si incontra di persona anche solo una o due volte all’anno e poi ci si può parlare online quando serve. In questo senso dico “investitori in founder italiani nel mondo”. La strategia del club nei prossimi anni sarà quella di supportare founder italiani nel mondo, finanziando start up create da imprenditori italiani anche fuori dall’Italia».
A che punto è l’Italia?
«Quando siamo nati il venture capital italiano era all’inizio, in 15 anni è finalmente cresciuto. Oggi è un’industria numericamente importante: abbiamo centinaia di investitori, incubatori, acceleratori e strumenti di investimento e supporto. Per quanto riguarda le somme investite, invece, siamo ancora indietro».
E qual è la ragione?
«Siamo partiti in ritardo, rispetto a Paesi come l’Inghilterra. Ci siamo mossi più o meno con la Francia, ma da loro c’è stato fin da subito un grande supporto da parte del Governo. Da noi Passera, dieci anni fa, con Startup Act, ha iniziato a fare quello che in Inghilterra esisteva già da almeno una decina d’anni.
E poi abbiamo un sistema economico che seppur ricco da un punto di vista dei patrimoni familiari dedica meno attenzione al concetto dell’imprenditorialità. Se si aggiunge la visione tipicamente italiana del fallimento come un disonore e il peso della burocrazia è chiaro che il nostro ecosistema si sia mosso più lentamente.
Ed è anche il motivo per cui il Club guarda alla rete internazionale, per cercare talenti italiani anche all’estero. Poi magari proviamo a convincerli a tornare o aprire in Italia una seconda sede. È il caso di Electra Vehicles, fondata a Boston da un italiano: l’abbiamo sostenuta e quando cercava una sede in Europa ha deciso di aprirla in Italia, a Torino. È stato un grande motivo di soddisfazione per noi».
Cosa dovremmo fare per metterci al passo con gli altri Paesi?
«Credo si debba lavorare su alcuni temi chiave quali il fallimento, il sostegno ai tech founder e, soprattutto, la formazione: sono ancora poche le università italiane in cui ci sono corsi di imprenditorialità.
Comunque, negli ultimi anni le cose sono significativamente migliorate, un grade aiuto è arrivata dalla Cassa Depositi e Prestiti. Se anche il Governo si muove compatto per sostenere l’innovazione allora possiamo recuperare il gap».
Un aiuto può arrivare anche dal Club degli Investitori.
«Credo che investire in innovazione e nei nuovi imprenditori sia un dovere sociale. In quest’ottica è nato il Club, per supportare la crescita di nuovi founder, che rappresentano anche il futuro del Paese. In Italia abbiamo molte imprese familiari, che dopo qualche generazione, magari vendono a fondi di private equity. Se non si crea un ricambio, non avremo più un tessuto imprenditoriale».
Otto anni fa avete lanciato il premio Business Angel dell’Anno, qual è il suo scopo?
«Da un lato volevamo dare ulteriore visibilità all’associazione, dall’altro volevamo sostenere la crescita dell’angel investing nel nostro Paese. È l’unico premio italiano in cui si premiano gli investitori e non le start up e viene conferito non a chi ha investito più soldi, ma a chi ha fornito più sostegno, non solo economico, al maggior numero di start up, creando maggiore impatto».
Se deve guardare ai prossimi anni del Club, cosa vede?
«Come detto, stiamo lavorando al processo di espansione internazionale. Negli ultimi anni ci siamo fatti conoscere a Londra, pochi giorni fa abbiamo organizzato un evento al consolato italiano a New York, alla presenza del Console e di un’ottantina di italiani del mondo tech & finance. Abbiamo ottenuto una buona risposta, è uno dei primi passi nel nostro processo di internazionalizzazione».