La cognizione incarnata rivela una verità: siamo un tutt’uno con corpo e ambiente. Urge un simbiocene per i bimbi, più esposti all’inquinamento, ma aperti al benessere della natura
Embodied cognition, o cognizione incarnata, è una definizione suggestiva: spiega che i processi cognitivi non sono confinati al cervello, ma sono influenzati dal corpo − propriamente, “incarnati”. Questa idea confligge con i messaggi quotidiani a cui siamo abituati, ancora vittime della divisione cartesiana che vedeva nella mente e nel corpo due entità separate. Non solo il corpo, tuttavia, è elemento costitutivo della mente; ovvero, siamo in presenza di un tutt’uno e l’ambiente stesso è compreso e coinvolto nel sostanziare l’umano. Spesso sentiamo descrivere l’ambiente come lo “spazio circostante” o, più frequentemente, definirlo come “tutto ciò che ci circonda”. L’ambiente, invero, non è altro da noi: siamo noi.
Con ogni singolo respiro, partecipiamo a una grande vita che si chiama Terra. Poesia? Panteismo? Altre definizioni in mente? Offro le mie: concretezza, evidenza, verità. Comprendere questi passaggi teorici è più semplice che assumerli in sé comportandosi di conseguenza, me ne rendo conto. Vorrei però portare l’attenzione su qualcosa di toccante, consonante, nonché assolutamente reale: chi legge questi contributi di certo è adulto, magari qualcuno ha figli o li avrà; dunque, se è vero che noi siamo parte dell’ambiente, qual è il rapporto con esso, sin da bambini? Quali maggiori fragilità hanno i piccoli? Quali i doveri da parte di chi, oggi, interpreta e muove il mondo, nei loro confronti? Difficile dare risposte puntuali, certamente impossibile farlo in poche righe; un libro che ho trovato ben fatto, in materia, è Bambini e inquinamento (2023) e desidero condividere alcuni scambi avuti con la curatrice, Elena Uga.
Due doverose parole su chi è Elena Uga: pediatra, allergologa, consulente in allattamento, impegnata in realtà associative che si occupano di ambiente e salute, melomane, amica. La dottoressa Uga mi ha parlato prima di tutto dell’esigenza di giungere a una nuova era, il “simbiocene”: contrapposto all’antropocene, preconizza un domani in cui l’uomo torni a vivere in armonia con la natura e con tutti gli esseri viventi e nella quale prevalgano le emozioni positive. Questa utopia – da cogliere! – è dedicata specialmente ai bimbi, i quali sono molto più esposti agli inquinanti degli adulti, con rischi concreti per la loro salute. Di contro, l’immersione nella salubrità della natura porta benefici a ogni livello, fisico e psicologico. Il testo prende in esame molte sfumature e tematiche ed è adatto a chiunque voglia capire di più − senza gravità, ma seriamente. Questa è comunicazione della scienza; non un distacco, ma un’immediatezza capace di cogliere l’interesse del lettore/uditore, così da invogliarlo a prendere parte al processo di cambiamento.
Della chiacchierata, voglio riportare un breve frammento “controcorrente”, ma in linea con le evidenze scientifiche: «Ci sono argomenti – afferma la dottoressa Uga – che sembrano in contraddizione con ciò che abbiamo fatto per abitudine per decenni, ma la rotta va necessariamente invertita». Insomma, il “si è sempre fatto così” non va bene, c’è bisogno di un rinnovamento radicale.
Già Rodari faceva riferimento ai cosiddetti uomini a metà, esecutori passivi e riproduttori senz’anima, ingranaggi in una società dedita solo a produrre e far profitto. C’è gran necessità di lavorare per la costruzione di un essere umano compiuto, capace di operare per il benessere reale. Così come la salute, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, è «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità», parimenti il benessere non si riduce all’assenza di povertà o all’agio, come spesso viene narrato; contiene, invece, altre dimensioni più autentiche, quali felicità, pienezza, esposizione alla bellezza del pianeta, gioia di vivere insieme e così procedendo. Tornando al principio, così da avviarci alla chiusura, l’invito è di provare a superare con la fantasia l’architettura del mondo che abbiamo creato, immaginandone uno nuovo, aperto, da raccontare intrecciandone le trame con le altrui visioni e, poi, da concretizzare.
A chi obiettasse che si tratta di puro esercizio speculativo, domando: nel XVII secolo (avendo chiamato in causa Cartesio) qualcuno si sarebbe aspettato, seriamente, di riuscire mandare sonde su Marte? Le regole del mondo – non quelle della natura – sono il frutto delle nostre determinazioni: basta cambiarle.